UN BICCHIERE DI VINO CON ROSSANA GAJA
Era una mattina dei primi di Aprile. Ero in Friuli, alla Castellada. Raramente rispondo al telefono quando sono in vigna, eppure quel giorno decisi di rispondere ad un numero sconosciuto. A darmi la sensazione che quella chiamata non sarebbe stata la solita chiamata che poteva “aspettare”, era il suggerimento “Alba”. “Ciao Paola, sono Rossana”. Ho impiegato almeno un minuto apparentemente più lungo dei sessanta secondi previsti, per realizzare dentro di me se quella Rossana fosse Lei, ovvero Rossana Gaja. Sì, era lei.
Rossana mi invitava a raggiungerla a Barbaresco, prima in vigna e poi a pranzo con lei, per un incontro privato ed informale.
Rossana non vuole convincere nessuno, non vuole vendere un prodotto, sponsorizzare, arruffianare, darsi delle arie. Rossana, inizialmente, pensava solo di trascorrere un’intera giornata con me; solo in un secondo momento le chiederò di poter pubblicare un estratto della nostra giornata assieme, fedelmente, parola per parola, proprio per condurvi per mano all’interno di quella giornata, lasciandovi sbirciare o “ficcanasare” in un momento squisitamente privato tra me e lei. Niente altro, al di fuori di questo.
R: Quaranta anni fa le donne non portavano avanti le aziende. Era un mondo esclusivamente maschile. Nella mia famiglia, cento per cento contadina, c’è sempre stato il passaggio generazionale Giovanni-Angelo. Mio nonno era Giovanni, mio papà Angelo e mio fratello ancora Giovanni. Io sono la figlia di mezzo. Quando è nata Gaja, nel ’79, non scoprivi il sesso del bambino fino al parto. Quando papà si è trovato in braccio questa bimba, era una grande gioia, ma c’era il problema di portare avanti il nome. Trovò allora nell’Antico Testamento una donna che si chiamava Gaja e decise di chiamarla così, pecche nella sua testa si era detto che quando un giorno si fosse sposata, resterai comunque una Gaja.
P: Tuo padre era geniale. Come è stato tuttavia crescere con un padre così?
R: Mio padre era molto pungente e severo. È sempre stato molto dritto. Sicuramente ci siamo conosciuti di più quando abbiamo iniziato a lavorare insieme, è valso per tutti e tre i figli. Perchè eravamo più a contatto con lui.
P: Mi ha colpito quando hai detto che “sei rimasta coi piedi qua”, dunque non hai mai avuto la tentazione di andare via, neanche dopo il breve allontanamento per completare i tuoi studi?
R: Ho studiato a Pescara. Mi sono iscritta a psicologia, dopo essermi diplomata alla Scuola Enologica di Alba, dopo aver lavorato un anno a contatto con i miei, mi sono detta che avevo bisogno di una laurea. Non lingue, lettere o economia… ma psicologia…ricordo mia madre che in quel periodo, quando dovevo dare un esame, aveva bisogno di un Bignami per difendersi, lo dico scherzando, ma mia madre era disperata. Poi mi sono laureata, fine 2008 ho iniziato a lavorare in azienda
P: Tuo padre è stata una figura ingombrante? Hai mai sentito il peso e la responsabilità di essere figlia di Angelo Gaja?
R: Abbiamo sempre vissuto tutto con grande semplicità. Qui in Langa, a Natale, si parlava di lavoro…. A Pasqua, si parlava di lavoro…per noi era normale. Siamo cresciuti masticando un certo tipo di linguaggio, di atteggiamento, di propensione verso il lavoro. Qui l’azienda è concepita ancora come “famiglia” e per noi è un valore importantissimo, è un punto di raccolta di saperi, di un’etica, di tradizioni tramandate da una generazione all’altra. Vivere qui, nella natura, ti fa apprezzare il valore delle cose naturali. La scelta non apparire sui social o non avere un sito web è comunque una forma di comunicazione. Quando a mia sorella fanno questa osservazione, lei risponde: “perchè noi non siamo on line, siamo on land”. Ormai c’è troppo di tutto… cosa dovrei scrivere sul sito? Quanto siamo bravi o quanto sono buoni i nostri vini? La gente alla fine sceglie il vino che la rappresenta. Noi siamo davvero a conduzione familiare. Io e mia sorella siamo entrate in azienda e abbiamo subito chiesto a nostro papà di poterci avvalere di consulenti esterni in ambito agronomico. Mio padre inizialmente non era d’accordo, ma noi dovevamo capire come affrontare il cambiamento climatico con nuove tecniche. Siamo usciti due anni fa dal biologico non per fare un vino convenzionale, ma perchè non voglio metterlo in etichetta, non voglio certificare un certo tipo di lavoro, ma fare sempre meglio collaborando con la nostra equipe storica ed otto nuovi consulenti esterni in ambito agronomico: due geologi, due genetisti, un botanico, un entomologo e poi agronomi. Vogliamo delle persone che possano trasmetterci delle conoscenze e la maggior parte lavora nel campo della ricerca. I consulenti non ci dicono quello che dobbiamo fare (noi conosciamo le nostre vigne), ma ci danno delle alternative da prendere in considerazione.
Come è cambiata la Langa dagli anni ’80. Il ruolo di Angelo Gaja in questo cambiamento.
R: La ricchezza del territorio non è rappresentata né dal vino né dal turismo, ma dall’industria. Ad Alba abbiamo la sede principale della Ferrero, abbiamo la Mondo, O Rubert e la Miroglio, aziende sane che contribuiscono a portare ricchezza. La più importante è la Ferrero. La Ferrero negli anni passati, quando qui neanche ci stavano like strade asfaltate, per prendere i loro dipendenti che abitavano nei paesini vicino ad Alba, metteva a disposizione dei pulmini aziendali. Cosa ha comportato? Che coloro che vivevano in Langa ma lavoravano in fabbrica, non sentirono mai la necessità di vendere la loro terra; questi lavoravano durante la settimana, portandosi avanti il lavoro nel loro pezzettino di vigneto nel weekend, conferendo le uve alle cooperative, alle cantine. Col tempo, quelle stesse famiglie, hanno compreso che gli conveniva di più vinificare loro stessi, piuttosto che conferire le uve. La Ferrero ha preservato il territorio, perchè non ha indotto a spopolare la campagna, al contrario dell’allontanamento che si è verificato verso Torino, per la Fiat alla ricerca di uno stipendio fisso ed un lavoro meno duro. La Langa era una zona depressa fino agli anni ’80
P: Poi si è registrato il cosiddetto boom delle Langhe. In parte dovuto al fenomeno dei Barolo Boys, ma in buona altra parte per merito di tuo padre che ha fatto conoscere le Langhe all’estero
R: Mio padre ha sempre portato avanti il concetto di territorio prima di tutto. Quando mio padre ha iniziato a viaggiare per raggiungere i mercati esteri, specie negli Stati Uniti, c’era una cultura del vino, ma legato alla Francia. Cosa erano abituati a bere dunque? Alla fine anni ’60, inizio anni ’70, in America si bevevano le varietà internazionali. Mio padre si presentava col Barbaresco, e per amare il nebbiolo devi amare tannino ed acidità.
P: Gaja e Rey nasce proprio come strumento per breccia nel mercato internazionale, per poi far conoscere il Barbaresco, o sbaglio?
R: Il primo è stato Darmagi pensato con questo scopo. Mio padre ha detto: “Se voi non volete parlare di me per il Barbaresco, parlerete del territorio in altri modi”. Da lì la scelta. Selezionò una serie di vigneti a Barbaresco, facendo l’analisi dei vigneti, e mandò ad un agronomo di Bordeaux il risultato di queste analisi. Tuttavia, mio nonno Giovanni, aveva una fede per il nebbiolo. Per lui non c’era altro che il Barbaresco, ma questa fede cieca gli dava la forza di credere e di avere la forza di fare il suo lavoro tutti i giorni. Mio nonno è stato un visionario per la Langa di quel periodo. Così mio nonno disse ad Angelo: “Se tu vuoi impiantare delle varietà diverse dal nebbiolo, fallo. L’importante è che tu prenda il vigneto più nascosto che c’è in paese, purché la gente non lo veda e ne sparli. Ogni generazione ha le proprie sfide; tu non puoi portare avanti la bandiera di tuo padre, perchè magari quello non è il tuo sogno. Devi portare avanti i progetti tuoi, se poi questi sono compatibili con la storia dell’azienda diventa un valore aggiunto, a livello familiare, come condivisione del sapere. Tra questi vigneti che papà aveva mandato a Bordeaux, c’era anche quello in cima alla collina, proprio dove abitava all’epoca mio nonno Giovanni. Questo agronomo, dopo una decina di giorni, chiamò Angelo e gli suggerì che il vigneto che si prestava di più per il cabernet sauvignon era quello dietro casa di nonno Giovanni. Mio padre in quel periodo era già dentro l’azienda, e mio nonno aveva già un piede fuori. Così approfitto delle vacanze estive per espiantare quel vigneto di nebbiolo, per reimpiantarlo col cabernet. Quando nonno tornò a casa e vide questo vigneto, non si poteva immaginare che il papà avesse estirpato il nebbiolo, tuttavia, avvicinandosi ad una barbatella notò che portava ancora il cartellino. Si avvicinò, guardò meglio e lesse: “ca-ber-net sauvi…”. Immediatamente capì e la prima parola che pronunciò fu che darmagi!. Ovvero, Che peccato in dialetto Piemontese. Da allora, mio padre decise di chiamare così quel vino. Fu una trovata geniale, perchè con quel vino all’estero parlava la loro stessa lingua, faceva assaggiare il Cabernet e ad ogni bottiglia di Darmagi, papà faceva acquistare una bottiglia di Barbaresco. Così nel tempo, nella carta dei vini comparve anche il Barbaresco, laddove ci fosse stato il Darmagi, e da lì è nato tutto. A quell’epoca, specie negli Stati Uniti, il vino Italiano doveva essere buono e costare poco, infatti il Chianti era il vino che andava per la maggiore.
P: Proprio la tenacia di tuo padre nel far conoscere il vostro territorio all’estero, è stato demonizzato da alcuni vostri detrattori che vi hanno visto come coloro che si sono “venduti al mercato americano”. Da quanto hai appena detto tuttavia, non solo trapela la voglia di tuo padre di far conoscere il territorio, ma, a dispetto dei detrattori, non è innegabile che proprio Gaja sia stato funzionale per tutti, nessuno escluso, per raggiungere il mercato estero. Senza Gaja si sarebbe stato il boom del quale parlavamo?
R: Questo non lo so, non puoi chiederlo a me. Quello che ti possono dire io è che tutte le aziende della zona esportano all’estero dal 60 all’80% della loro produzione.
P: Alle volte si sfiorano percentuali anche maggiori. C’è la realtà delle private label. Molti produttori oggi vorrebbero fare una inversione di marcia e sentono la necessità di essere maggiormente presenti nel mercato italiano. Qual è la difficolta secondo te? Perchè in Francia metà della produzione di eccellenza viene riservata al mercato interno e noi, sia a Montalcino, che nelle Langhe, esportiamo buona parte della nostra produzione? I prezzi delle nostre eccellenze, sono forse troppo alti?
R: Il prezzo del vino è sempre stato determinato dal mercato e dalla disponibilità. Da qui non si scappa. Non mi posso svegliare una mattina, fissare un prezzo astronomico se non ho una domanda. Per essere bravi in questo settore bisogno avere una conoscenza di agronomia, enologia e – non è una bestemmia – di marketing. Il vino va raccontato, va spiegato. Mio padre è stato seguito dal territorio. Da qui sono partiti altri leader, che facevano benissimo, ma non erano sconosciuti nel mercato estero. Tuttavia abbiamo fatto la scelta di non comparire nei social perchè alla fine siamo degli orsi…e la scelta di non comunicare, è sempre una forma di comunicazione.
P: Rispecchia un pò la mentalità Langhina del resto… come la descriveresti?
R: La grande fortuna che ha avuto questo territorio è che c’è stato un passaggio generazionale naturale, che magari non c’è stato in Toscana, dove tante famiglie hanno un titolo nobiliare. I figli sono cresciuti a Firenze. Un figlio che fai crescere in città, è molto difficile che lo riesci a riportare in un contesto agricolo. Nelle Langhe, più o meno abbiamo fatto tutti lo stesso percorso. Io non sono entrata in azienda per passione, magari nella mia testa avevo tutt’altro. Entri in azienda perchè è la cosa più naturale, perchè famiglia ed azienda sono due cose indistinte. Io e mia sorella abbiamo imparato ad andare nella bici senza rotelle nel cortile dell’azienda, giocavamo a nascondino dietro le barriques. E’ la famiglia.
Gli effetti del riscaldamento climatico in Langa
Mai visto in Langa un mese di maggio così freddo. Da un lato è positivo: quelle temperature rallentano il ciclo vegetativo. Magari poteva piovere un pò di più, perchè abbiamo avuto un inverno molto positivo avendo avuto una nevicata nel mese di novembre (che non vedevamo da tantissimi anni), e da novembre fino alla fine di gennaio la neve è rimasta sul terreno, ma non solo in Altalanga dove l’altitudine passa dai 250 di Barbaresco ai 650 fino agli 800, ed è dunque normale che la neve rimanga per un periodo così lungo, ma qua in Langa era da tantissimo che non la vedevamo. Qua in Langa si è sciolta tra fine gennaio inizio febbraio, poi, tuttavia, fino ad aprile abbiamo registrato i mesi più siccitosi degli ultimi trent’anni. Noi lo sappiamo non solo perchè abbiamo tutte le capannine del meteo nei vigneti, ma prendiamo tutti i dati dalle stazioni andando indietro nel tempo, per fare delle analisi e capire i cambiamenti che si verificano rispetto al passato. Ormai ogni anno, a livello climatico, ci sono degli stravolgimenti che non sono lunghi; si parla di veri e propri fenomeni brevi. Nel 2019, ad esempio, ha fatto 43 C°, che non è normale da queste parti, causando delle bruciature. Quest’anno, altro esempio, una settimana non abbiamo avuto il problema della gelata o della brina, ma ha fatto vento forte con temperature di -3C° la notte, gelando tutta la parte bassa delle colline, così come ha danneggiato tutti i rimpiazzi dentro i coni.
P: Quello che mi stupisce di te è come sei “dentro la vigna”. Si è portati a pensare che nelle aziende importanti come la tua, ci si sporchi poco le mani, ma l’impressione che mi hai fatto, anche la volta scorsa che ci siamo incontrate, è che qui sia ancora tutto a “misura d’uomo”, che ci sia una vostra cura e presenza in ogni passaggio, specialmente in vigna. C’è ancora il contatto con la terra, tu la vivi la terra
R: Vedi, il cambiamento climatico ha comportato degli effetti positivi e negativi. Come dice mio papà, in viticoltura venti anni fa avevi due problemi, due malattie di origini fungina, peronospora e oidio, che con rame e zolfo risolvevi. Col cambiamento climatico, che in Langa si registra dal ’96, ha portato ad una serie di problemi che noi prima non conoscevamo: gli insetti; questi hanno trovato grazie a questi cambiamenti, le condizioni migliori per il loro sviluppo, hanno tuttavia danneggiato la viticoltura. Questo è un ambiente meraviglioso ed estremamente delicato, come la stessa Slow Food ha sempre criticato, perchè questa è monocultura e tutti i sistemi che sono monocolturali hanno al loro interno delle grandissime fragilità. La fillossera che c’è stata alla fine del 1800, mica possiamo pensare che non sia un fenomeno ripetibile; e se si dovesse ripetere, col la ricerca che abbiamo in Italia? Bisogna spronare la ricerca a trovare delle soluzioni alternative per nuovi tipi di problemi. Cosa è stato invece positivo del cambiamento climatico? Io parlo del caso nostro, ma penso di poter parlare a nome di molti produttori Italiani: abbiamo rimesso piede nei vigneti, abbiamo capito che dovevamo prendercene cura, proteggerli, aumentare la biodiversità, avere più vita possibile nel vigneto perchè solo in un ambiente sano, le piante crescono meglio.
P: Interessante che sia proprio tu ad ammettere l’evidenza della monocoltura in Langa. Il fascino di queste colline ricamate dalle vigne a perdita d’occhio, ammetto che hanno un fascino unico. Tuttavia, ad uni sguardo meno romantico e razionale, è inevitabile che mi chieda come si è arrivati a questo e le conseguenze negative che potrà causare. Interessante, dunque, che sia tu a farlo presente, perchè in altre occasioni, quando ho sollevato questa mia perplessità ad altri produttori in Langa, ho riscontrato molto imbarazzo e risposte poco convincenti
R: La parte più autentica di questo territorio è l’Alta Langa. Qui siamo in Bassa Langa, mentre l’Alta Langa è una zona di confine con Serralunga e Roddino, ai confini con la Liguria. Perchè più autentica? Perchè se qui si dovessero svegliare Fenoglio e Pavese non riconoscerebbero più il loro territorio. Riconosciuto patrimonio dell’Unesco come patrimonio dell’Umanità perchè io, nata e cresciuta qua, mi sveglio la mattina e mi stupisco ancora della sua bellezza, e cerco di far crescere i miei figli in modo che continuino a stupirsi pure loro, perchè questa bellezza non va data per scontata, con delle ricchezze a livello umano, di frutti del territorio come il Nebbiolo, il tartufo, la nocciola o la fassona, che ci ha dato tantissimo, è stato generoso con noi, ma è un territorio che è stato profondamente ridisegnato in base alla necessità dell’uomo; per lo stretto legame tra l’uomo e l’agricoltura, oggi questo territorio è quello che è. L’Alta Langa ha un coltura mista, perchè hai ancora il bosco, il vigneto (che è ancora una parte integrante del territorio), hai ancora le coltivazioni di cereali e gli allevamenti. È un sistema che ad oggi si presenta ancora in equilibrio, che è non solo di una bellezza incredibile, ma ha delle incredibili potenzialità per il futuro.
P: Tu che sei cresciuta qui, hai percepito questo cambiamento? Hai memoria di come si sia arrivati alla monocoltura in Langa? Gente cresciuta qui, sebbene non si sia dedicato alla viticoltura, mi ha raccontato che fino agli anni ’80 in zone, tipo La Morra, non ci fosse un vigneto, e solo dopo il boom del Barolo, anche qui, si è arrivati ad una viticoltura intensiva
R: Io ho dei ricordi, ma dei ricordi vaghi. Io sono entrata in azienda fine 2008, inizio 2009. Ho memoria di quello che c’era prima, specialmente a livello di vendemmia, specie rispetto ai cambiamenti climatici. Sul territorio, io francamente non ho grandi ricordi di come era prima, quando io ero bambina, perchè nei miei occhi, nel mio cuore, io l’ho sempre visto così, magari un vigneto che spariva ed uno che tornava. Tuttavia basta leggere i libri per capire che questo territorio è stato completamente non stravolto – che è un termine sbagliato -, ma ridisegnato, e ci sono delle responsabilità per questo tipo di viticoltura. Per questo penso che l’Alta Langa vada tutelata, proprio per evitare questo tipo di impatto
P: Credi che si corra questo rischio in Alta Langa, proprio alla luce dell’interesse che sta suscitando in prospettiva del Cambiamento Climatico?
R: Noi abbiamo fatto degli investimenti in Alta Langa, sette ettari, abbiamo provato in via sperimentale ad impiantare varietà di bianchi, quelle varietà come sauvignon e chardonnay dove negli anni abbiamo maturato un’esperienza, dunque non il nebbiolo. La grande differenza in Alta Langa non è tanto con Serralunga, dove si è già sui 550 metri, La Morra sui 450, dunque non c’è troppa differenza, ma con Barbaresco c’è differenza. Qui siamo a 250, l’Alta Langa è un comprensorio che parte dai 650 per arrivare ai 900 metri di altitudine, e comunque cambia la temperatura. Ci sono quasi 5 C° di differenza d’estate, una escursione termica importante di ben 10 C° che porta allo sviluppo di una buona componente aromatica nei vini, quello sbalzo di temperatura tra giorno e notte. Abbiamo fatto allora delle sperimentazioni impiantando nel 2017 questi sette ettari di vigneto, dove quest’anno abbiamo fatto la prima vendemmia per capire. Il cambiamento climatico è alle porte, ma c’è sempre stato un cambiamento climatico nella storia della Terra, ma noi siamo qua ora, ed il nostro primo socio è il “Signore” questo qua sopra (indicando col dito il cielo). Se voi prendete i vini prima degli anni ’90, la gradazione alcolica era di 12,5 gradi al massimo; facevano fatica ad arrivare a 13 o 14. Ora il Barolo può arrivare a 15 gradi… I risultati del riscaldamento globale sono stati un innalzamento della temperatura, non solo nei mesi estivi ma anche in quelli invernali. Abbiamo una instabilità climatica. Periodi in cui si alternano siccità, ad altri dove si accumulano grandi disponibilità di acqua, anche eccessiva, e la pianta lo vive come uno stress fortissimo. Allo stesso tempo viviamo una carenza di acqua: piove sempre meno, nevica sempre meno. L’acqua sarà il bene che più mancherà nel futuro. Si sciolgono i ghiacciaI, comportando l’erosione delle coste, s’innalzerà il livello delle acque, non domani, ma nel tempo avverrà. E poi le rese, rese che rispetto al passato sono in picchiata. Sul fatto che la pianta sia estremamente sensibile al clima non è una novità di oggi; in passato, quando Leonardo da Vinci fu invitato a trasferirsi a Milano per volontà di Ludovico il Moro, parliamo della metà del fine Quattrocento, il quale gli chiese – tra le altre cose – di impiantare un vigneto di malvasia alle spalle della sua abitazione al centro, perchè Leonardo voleva studiare il cambiamento in atto dal 1450 al 1550. Perchè non ha messo un melo? Un pero? Perchè la vite è sensibilissima al cambiamento del clima: in base all’epoca della vendemmia – se anticipata o posticipata – o all’accumulo dello zucchero, si possono comprendere i cambiamenti. È un termometro la vite. Se pensiamo che dal 1981 ad oggi in Europa si sono registrate due settimane di anticipazione della vendemmia, magari in alcune parti una settimana, mentre in altre in tre. Se penso qui in Langa, storicamente la vendemmia del nebbiolo è sempre finita verso il 13, il 15 di novembre, ad oggi abbiamo un mese di anticipo, col mese d settembre con 27/28 C°
P: Tuttavia il ciclo vegetativo del nebbiolo è molto lungo, il riscaldamento globale non ha aiutato ad arrivare senza troppe sorprese alla maturità fenolica?
R: Il nebbiolo è una varietà estremamente bizzarra, difficile da lavorare, infatti se pensate al cabernet sauvignon che è il re nella produzione del mondo della bacca rossa con 350000 ettari, il nebbiolo solo 7000, di cui 6500 solo qui in Piemonte, specialmente in Langa, ciò vuol dire che è un vitigno strettamente legato ad uno specifico territorio. Non voglio essere fraintesa, ma alle volte in degustazioni alla cieca, io faccio fatica a ricondurre il cabernet ad uno specifico territorio, mentre il nebbiolo non è così. Quando sento quel tannino, quell’acidità, quel patrimonio aromatico lo lego a quel territorio, e questa è la ricchezza. Non è negazionista ammettere che il cambiamento climatico ha portato a dei vantaggi nei vitigni a maturazione tardiva. Il nebbiolo ha un germogliamento precoce, maturazione tardiva, buccia sottilissima – quindi molto delicata -, poca materia colorante e ha bisogno di sbalzo termico specialmente a settembre per la maturazione, ma anche nel periodo estivo. Se prendiamo dal ’96 ad oggi – prima annata dove si èp registrato un clima un pò più caldo -, poi c’è stata la 2003 dove si è verificata una bomba di caldo in tutta Europa, da quel momento in poi sino ad oggi si è verificato sempre un leggerissimo aumento. Dal ’96 ad oggi, tuttavia, noi abbiamo tutte grandi annate, dal buono all’eccellente, perchè vendemmiando in anticipo si va meno incontro agli imprevisti del tempo, raccogliendo uve sane, perfette. In passato non era così. Io sono nata nel 1981, mio papà aveva iniziato la vendemmia e proprio durante si è messo a nevicare, ed ha dovuto aspettare una settimana per rimettere piede nel vigneto e finire la raccolta. Prima degli anni ’90 c’era una buona annata su dieci. Adesso sono tutte buone annate. Annate come la 2002, la 2003, non posso dire che non siano state dellE buone annate. Noi siamo stati colpiti dalla grandine, che colpisce a fasce, e non abbiamo potuto imbottigliare i rossi, ma la 2002 Conterno è uscito con un gran Monfortino. La peculiarità delle Langhe lo dice il nome stesso, da “lingua di terra”, proprio per la conformazione collinare di questo territorio, dove queste colline corrono parallele e nei punti di contatto possono creare vallate più o meno ripide, più o meno strette, creando microclimi profondamente diversi. Inoltre qui abbiamo la prossimità col Tanaro, che divide nella parte meridionale questa parte del territorio, e dall’altra parte già abbiamo il Roero, rendendo questa valle sempre ventilata.
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